La leggenda di Glaucos


Glauco, figlio di Poseidone, era un demone del mare, era la rappresentazione dell'onda blu che riflette il colore del cielo. Secondo il mito era un povero pescatore che, da vecchio, si gettò da una rupe per morire ma, poiché aveva mangiato un'erba miracolosa, invece della morte trovò l'immortalità. Gli dei lo trasformarono in un dio del mare dandogli una coda di pesce e una barba verde come il bronzo. Glauco divenne condannato ad errare da una costa all'altra profetizzando la sfortuna. Appariva ai marinai come un vecchio con il corpo pieno di conchiglie e di alghe predicendo i venti forti del mare. Secondo Platone, Glaucos, simbolizza l'anima umana che ha subito numerosi infausti influssi dalla vita terrestre.
N.S.

LA LEGGENDA DI GLAUCOS

Racconta un'antica leggenda che viveva a capo Peloro, nella parte nord-orientale della Sicilia, un giovane di nome Glauco, ritenuto figlio di Nettuno. Un giorno costruì una barca snella e veloce che dipinse con i colori del mare, cioè di azzurro e verde. Si mise a fare il pescatore e divenne talmente bravo e così abile che le sue reti, alla fine di ogni pesca, risultavano sempre piene di una quantità enorme di pesci. Glauco non tratteneva mai per sé tutta quell'abbondanza, ma la ripartiva tra gli amici e teneva per sé solo quanto bastava per nutrirsi e vivere alla giornata. Oltre ad essere generoso e di buon cuore, Glauco era anche bello come un dio. Aveva gli occhi azzurri, con sopracciglia folte e arcuate, il naso dritto e regolare, mentre una barba corta e riccioluta gli incorniciava il mento. I suoi capelli erano lunghi e sottili come fili di seta e gli scendevano sulle spalle morbidi e carezzevoli.

Tutte le nereidi, Tetide, Anfitride, Panope e la stessa Galatea, assieme alle sirene ammaliatrici e alle sorridenti ninfette delle acque, venivano dalle parti del Peloro per vederlo e parlargli. Spesso, alcune di esse, si spingevano fin sulla spiaggia e più d'una, avvinta dal suo fascino, gli sorrideva con invitante simpatia. Glauco era gioioso e scherzava con tutte, ma non ne amava nessuna. Un giorno, assieme alle sirene e alle ninfe venne la dolce e romantica Scilla, una fanciulla bellissima, piena di vita e desiderosa d'amore.

Quando vide Glauco, sentì il cuore batterle più forte, e da quel momento, ogni giorno, sul far dell'alba, cominciò a venire alla riva del Peloro ad aspettare che il biondo Glauco venisse a preparare la sua barca per la pesca. Poi se ne restava ansiosa ad attenderlo fino al tramonto, fino a quando non lo vedeva tornare con le ceste colme di pesci ed avviarsi poco distante, alla sua piccola dimora.

Scilla era timida e mai avrebbe osato dichiarargli il suo amore. Perciò si accontentava solo di guardarlo, di sorridergli e sperare. Glauco, invece, la guardava e le sorrideva con simpatia.

Un giorno arrivò dalle parti del Peloro la maga Circe e divenne amica di Scilla. La sera andavano a passeggiare lungo la riva del mare, ad ammirare il verde-azzurro delle onde che dal Tirreno correvano lente verso il mare Ionio.
Scilla confidò a Circe il suo amore per Glauco: - Fammi vedere questo tuo straordinario giovane! - le disse la maga - Ed io t'insegnerò il modo di conquistarlo...

Circe e Scilla si recarono sulla spiaggia e Glauco giunse poco dopo. Nella lucentezza dell'alba apparve bello come un dio, agile come un'atleta, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, profondi come il mare. Circe ne rimase ammaliata e se ne innamorò. - Glauco è bello, è figlio di Nettuno! - pensò Circe estasiata nella sua mente - È l'essere più bello che io abbia mai visto... ho deciso… diventerà il mio amante... - E tu - disse poi a voce alta, rivolta a Scilla - Cercati un altro uomo, perché Glauco dai capelli biondi e dagli occhi di mare, da questo momento appartiene a me.

Scilla tremò. Quelle parole furono per lei una sentenza di morte. Sentì il cuore quasi fermarsi e poco mancò che non morisse. E continuò invano a supplicarla. Si fece umile e piccola, strisciando quasi ai suoi piedi. Dapprima Circe l'ascoltò ridendo, beffandosi dei suoi sentimenti di fanciulla.

Poi, seccata, avvelenò il fonte in cui Scilla sovente veniva a bagnarsi e quindi, impugnata una bacchetta magica, la toccò su una spalla. Scilla cominciò a trasformarsi in un mostro marino, con sei teste latranti e dodici orribili e deformi gambe. La sua pelle cominciò a coprirsi di squame ruvide e lucenti, e la sua voce divenne rauca e abbaiante. Appena s'accorse d'essere divenuta un mostro, non resse alla disperazione e si gettò in mare. Il suo cuore si trasformò in macigno e divenne crudele. Andò a vivere in una caverna e iniziò a far strage dei naviganti che avevano la sventura di passarle davanti.

Intanto Circe se la spassava con Glauco. Ma quando venne la primavera, volubile com'era, si stancò del suo amore e lo lasciò. Prima voleva tramutarlo in un animale, come aveva fatto con i suoi passati amanti, ma non poté farlo perché Glauco era figlio di Nettuno. Perciò lo lasciò senza neanche dirgli addio e se ne tornò nella sua isola di Eea. Quando Glauco s'accorse d'essere stato abbandonato, cadde in una tristezza profonda. Ma la sua amarezza divenne sofferenza quando seppe della brutta fine di Scilla, la piccola creatura dalla voce melodiosa che tutte le mattine per tanto tempo, lo aveva atteso al ritorno alla pesca era stata trasformata in un orrido mostro marino dalla perfida Circe.

Glauco aveva preso l'abitudine di uscire ogni giorno con la barca dalle acque dello Stretto e si avvicinava all'antro di Scilla. Quando giungeva nei pressi della sua grotta, la chiamava e iniziava a parlarle, le rammentava il tempo felice dei loro incontri. L'orrido mostro, più di una volta, fu sul punto d'avventarsi su di lui con le sue bocche latranti per inghiottirlo. Ma, forse, nel cuore, manteneva ancora il suo amore. Così, dopo aver latrato minacciosa, finiva per acquietarsi e rientrava nella buia caverna marina, mentre Glauco, afflitto e disperato, ritornava alla spiaggia.

Passarono gli anni. Glauco divenne un vecchio curvo, pieno di ricordi e di rimorsi, cominciò a vivere solitario vivendo del prodotto della sua pesca, per fortuna sempre abbondante.

Era stanco, ogni giorno, ritornando dal mare, remava sempre più lentamente e con più fatica. Finchè un giorno, mentre ritornava, vide in mezzo al mare un'isola piena d'alberi e fiori. Sul bagnasciuga vi cresceva un'erbetta verde argentata e soffice. Glauco, si sentì stanco, accostò con la barca , tirò a secco le reti e si sedette sulla scogliera.

E allora successe una cosa incredibile: i pesci che aveva pescato, appena toccavano l'erba, tornavano a rivivere, a piccoli balzi saltellavano verso il mare, e vi si tuffavano scomparendo tra i flutti.

Incuriosito colse un ciuffo di quell'erba e la mangiò . Nella sua mente apparve il ricordo dei cibi assaporati nella fanciullezza, gli parve d'avere in bocca zucchero e miele ed elisir, e tutte le leccornie che aveva mangiato da bambino. Colse altri ciuffi di quell'erba e li mangiò tutti, con ingordigia, fino a divenire sazio. Inebriato pensò: adesso è il momento di farla finita, e si gettò giù dalla scogliera.

Ma, prodigio, invece di morire riacquistava forza e vigore: i suoi piedi cominciarono a colorarsi di verde e poi le gambe, le braccia, il busto e la faccia, divennero verdi come il colore di quell'alga che aveva mangiato.

La sua barba cominciò ad assumere un colore verde e su tutto il corpo gli spuntarono peli verdi e lunghi, sottili e fini come fili di seta.

II cuore di Glauco si riempì di gioia, mentre una forza incontenibile, più grande della sua stessa volontà, lo fece alzare da terra e correre verso il mare, dove vi si gettò con un gran tuffo.

Glauco, divenne un tritone del mare, immortale e profetico. Da quel giorno volle restare per sempre nello Stretto.

Dice la leggenda che, quando infuria la tempesta, Glauco solleva il capo al di sopra delle onde e subito, il mare diventa calmo e invitante, come lo era in passato, quando Scilla, la fanciulla bellissima, lo aspettava al ritorno dalla pesca.
di Nelly Stefa, Atene


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